Iran: una protesta senza precedenti?

Il regime di Teheran ha già affrontato e represso altre ondate di protesta, ma le manifestazioni dopo la morte di Mahsa Amini non chiedono solo un miglioramento economico o civile, bensì la completa liberazione dal giogo oppressivo della Repubblica Islamica

Di Tamar Eilam Gindin

Di Tamar Eilam Gindin, autrice di questo articolo

L’Iran sta conoscendo un’ondata di proteste senza precedenti: sostegno globale da parte di leader, celebrità e utenti dei social network; professori universitari in sciopero di solidarietà; scioperi a livello nazionale; l’hashtag Mahsa Amini utilizzato più di 100 milioni di volte; manifestanti che sfidano le forze di sicurezza con numerose vittime (anche fra gli agenti); almeno una città dichiarata “libera” dal regime islamista; le Guardie Rivoluzionarie che lanciano un attacco di artiglieria contro militanti nel Kurdistan iracheno, e chissà cos’altro accadrà.

Certo, ogni ondata di protesta sembra senza precedenti fino all’arrivo della successiva. E la maggior parte dei commentatori prevede che i manifestanti si placheranno o saranno repressi. Ma non in modo definitivo. Può essere che stiamo assistendo a un evento storico destinato a cambiare per sempre la Repubblica Islamica?

In primo luogo, Mahsa Amini, la cui morte ha innescato le proteste, era del tutto innocente. La bella 22enne non stava manifestando, non stava protestando, non stava sfidando il regime, non si era nemmeno tolta completamente l’hijab. Eppure, è stata arrestata dalla cosiddetta “polizia morale” iraniana che l’ha picchiata (come dimostrano i filmati delle telecamere di videosorveglianza che circolano sui social network), e ha ricevuto cure mediche solo diverse ore dopo aver perso conoscenza. Alla fine è morta dopo essere stata in coma per tre giorni.

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È stata una brusca scossa per il popolo iraniano, che si è reso conto che anche quando si attiene alle regole, matenendo un basso profilo e non manifestando, la sua sicurezza personale non è comunque garantita. In questo senso, non hanno nulla da perdere uscendo a protestare.

In secondo luogo, la maggior parte delle manifestazioni nella storia dell’Iran si erano finora concentrate su questioni che non chiamavano in causa l’essenza stessa della Repubblica Islamica. Quando nel 2009 le elezioni presidenziali risultarono truccate, i manifestanti scesero in piazza dicendo sostanzialmente che volevano Musawi e si erano ritrovati Ahmadinejad.

Nel 2007, e più tardi nel 2019, quando gli iraniani manifestarono contro il prezzo del carburante, si trattava di una questione economica. La maggior parte delle ondate di manifestazioni erano locali e risolvibili grazie a scelte diverse da parte dei capi della Repubblica Islamica.

Nel 2011 ci fu in effetti un tentativo di scrollarsi di dosso il sistema, ispirato dalle rivolte della cosiddetta “primavera araba”. Ma i manifestanti che invocavano la fine del governo religioso iraniano erano meno degli stessi agenti delle forze di sicurezza.

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Diciamolo chiaramente: le proteste attuali non riguardano l’hijab. Non si è mai trattato di questo. Le proteste in corso sono iniziate a causa di un evento legato al velo imposto alle donne, e da allora molte l’hanno tolto e persino bruciato in segno di protesta. Ma l’hijab è sempre stato un simbolo.

A differenza delle proteste per il carburante, delle proteste degli insegnanti, dei lavoratori; delle manifestazioni di camionisti, agricoltori, pensionati; quelle degli abitanti di Shemiran, degli arabi del Khuzestan e altre, questa volta il regime in Iran non può risolvere il problema semplicemente decidendo di farlo.

Anche se le proteste verranno represse, i capi del regime non potranno più sostenere che istanze legittime sono state “dirottate” e trasformate in questioni politiche da qualche entità straniera.

I manifestanti non chiedono solo la libertà di vestirsi come desiderano. Chiedono la completa liberazione dal giogo oppressivo della Repubblica Islamica.

(Da: Israel HaYom, 28.9.22)