La congressista Usa pro-BDS che usava un software notoriamente israeliano

La campagna per il boicottaggio dei prodotti israeliani è interessante se non altro come caso di studio su come si possa nascondere ipocrisia e cinismo sotto una montagna di auto-giustificazioni

Di David Rosenberg

David Rosenberg, autore di questo articolo

Deve essere stato piuttosto imbarazzante per Rashia Tlaib, l’americana-palestinese recentemente eletta al Congresso e strenua sostenitrice della campagna BDS (per il boicottaggio di Israele), scoprire che il sito web ufficiale della sua campagna utilizzava strumenti per la creazione di siti web realizzati e commercializzati dalla società israeliana Wix. O forse no.

La piattaforma Wix dietro al sito di Rashia Tlaib è stata rivelata dall’Israel Advocacy Movement con la semplice tecnica di cliccare in Chrome l’opzione “view page source” (peccato che il giornalismo investigativo non sia sempre così semplice). In ogni caso Rashia Tlaib, che il mese scorso si era affrettata a difendersi dalle accuse di antisemitismo, non ha reagito alla divulgazione del suo passo falso in fatto di BDS. Forse perché la notizia è circolata poco al di fuori dei mass-media di destra suoi avversari. Ma la mia ipotesi è un’altra: secondo me, la vera ragione è che lo stesso movimento BDS non prende sul serio il boicottaggio economico.

A metà febbraio, ad esempio, la Jewish Telegraphic Agency ha riferito che Robert-Willem van Norren, un noto sostenitore olandese del BDS, è andato in giro per Amsterdam ostentando cartelli che proclamavano “Palestina libera” e “Boicotta Israele” a bordo di uno scooter di fabbricazione israeliana. Anche lui si è rifiutato di commentare. Altri sostenitori del BDS sono stati colti in flagrante utilizzo degli strumenti Wix, ma è difficile sapere quanto siano diffuse queste tacite violazioni del boicottaggio da parte dei più accessi boicottatori. La mia ipotesi è che siano piuttosto comuni.

Schermata del 19 febbraio 2019 da cui si vede che il sito web della congressista Usa Rashida Tlaib era stato costruito sulla piattaforma israeliana Wix (clicca per ingrandire)

Il caso di Wix è singolare perché si tratta di un prodotto distinto, venduto direttamente ai consumatori. Se Rashia Tlaib prendesse sul serio il suo furore BDS e si fosse preoccupata di spendere 30 secondi per fare una ricerca su Google, avrebbe scoperto che la società ha sede nella “Tel Aviv occupata”.

Ma nella maggior parte dei casi i prodotti israeliani, in particolare quelli tecnologici, sono sepolti nelle viscere del dispositivo che si usa, della app che si utilizza o del sito web che si sta visitando. Se non è un’azienda israeliana che fornisce la tecnologia, sono stati gli israeliani a inventarla. Questo perché circa 250 aziende multinazionali hanno centri di ricerca e sviluppo in Israele, la maggior parte dei quali creati dopo che la società ha acquisito una start-up israeliana. Queste grandi aziende non solo hanno staccato assegni da decine di miliardi di dollari, nel corso degli anni, per acquisire le start-up israeliane, ma ora impiegano decine di migliaia di israeliani ben remunerati, che pagano le tasse allo stato d’Israele, fanno il loro dovere di riservisti nelle Forze di Difesa israeliane e potrebbero anche votare per i partiti di governo. Quindi ogni volta che si usa Facebook o si acquista l’iPhone di nuova generazione (sia Facebook che Apple hanno centri di ricerca e sviluppo in Israele), si diventa un piccolo ingranaggio della grande macchina che “opprime i palestinesi”, a voler dar credito alle tesi BDS secondo cui tutto ciò che fa Israele è “contaminato” dall’occupazione.

“E’ un po’ difficile qualificare Wix come tecnologia israeliana occulta”

Tuttavia, se si guarda alla campagna per il boicottaggio del movimento BDS, tutta questa schiacciante realtà semplicemente non esiste. Il loro link alla sezione “boicottare i prodotti israeliani” si presenta con una foto di arance Jaffa e poi prosegue suggerendo di boicottare SodaStream, il produttore di macchine per la produzione casalinga di soda, i cosmetici Ahava e il marchio Hummus Sabra.

I fautori del BDS pensano davvero che una campagna siffatta possa avere qualche effetto? Per la cronaca, nel 2018 Israele ha esportato agrumi per 198 milioni di dollari, pari allo 0,36% delle esportazioni totali di merci israeliane in quell’anno. I prodotti Sabra sono fabbricati negli Stati Uniti, non in Israele, da una joint venture fra Strauss Group e PepsiCo. A proposito, l’anno scorso la PepsiCo ha comprato SodaStream.

Dopo essere stato scoperto sei anni fa a usare Wix per il suo sito web, il gruppo Students for Justice in Palestine della Cornell University ha diffuso un testo prolisso e contorto per spiegare come mai va bene usare tecnologia israeliana mentre si esortano gli altri a boicottare i prodotti israeliani. Chiunque avesse la pazienza di leggere la lunga e ampollosa arringa difensiva farebbe comunque fatica a dire qual è esattamente il pensiero del gruppo studentesco anti-israeliano. A quanto sembra di capire, per loro la campagna BDS si riduce a nient’altro che uno strumento di marketing per “gettare luce sul super-sfruttamento razzista” dei palestinesi da parte di Israele. In altre parole, non vi si chiede di boicottare davvero i prodotti israeliani perché è troppo complicato, ma solo di fingere di farlo. L’economia mondiale, spiegano, è una “rete in gran parte nascosta di tubi e gallerie finanziarie” che rende difficile se non impossibile sapere quali prodotti hanno Israele al loro interno (anche se, ripetiamo, è un po’ difficile qualificare Wix come tecnologia israeliana “occulta”).

Rashia Tlaib ad una manifestazione anti-Israele

È una difesa interessante, se non altro come un caso di studio su come sia possibile nascondere ipocrisia e cinismo sotto una montagna di auto-giustificazioni. Ma si smentisce da sola, perché se si va a vedere oggi il sito web degli Students for Justice in Palestine della Cornell University si scopre che adesso è costruito su WordPress, che un software alternativo a Wix. Evidentemente non tutti si sono bevuti l’arzigogolata spiegazione, oppure hanno ritenuto che l’ipocrisia fosse un po’ troppo difficile da digerire.

Ma l’ipocrisia BDS va più in là. Quando si arriva al dunque, i suoi attivisti preferiscono che siano gli altri a boicottare e a sobbarcarsi i relativi sacrifici. E così, la Caterpillar e, in passato, la società di sicurezza G4s sono stati bersagli popolari e facili perché, dopo tutto, quante persone comuni compreranno mai un bulldozer per movimento terra o impiegheranno mai un bodyguard personale? Allo stesso modo, non costa nulla chiedere a gran voce agli amministratori di un’università o a un grande fondo pensione di disfarsi delle azioni israeliane che hanno nei loro portafogli, perché tanto si tratta dei soldi di qualcun altro.

L’obbligo di combattere la nobile battaglia contro l’oppressione israeliana ricade sempre sugli altri, che siano grandi istituzioni anonime o utili idioti che prendono sul serio gli appelli al boicottaggio. Nel frattempo, la campagna per il boicottaggio viene condotta utilizzando i software israeliani per la costruzione di siti web. Per dirla con le parole degli Students for Justice in Palestine, “il BDS non è un’astensione, né un principio morale assoluto: è solo una tattica”. Insomma, una furbata.

(Da: Ha’aretz, 19.2.19)