Lotta di potere nella striscia di Gaza

Hamas non vuole restare esclusa dalla 'spartizione del bottino.

Da un articolo di Danny Rubinstein

image_808Il fatto che la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese consideri la decisione israeliana di ritirarsi come un segno di vittoria dell’intifada è noto da tempo. [“Chi dice che i nostri missili danneggiano gli interessi dei palestinesi?”, si è chiesto lunedì il leader di Hamas Mahmoud Zahar, in occasione dell’incontro con l’inviato egiziano Mustafa Buhairi. E ha continuato: “La storia dimostra che i missili fanno gli interessi dei palestinesi. Sono i missili che hanno obbligato Israele a ritirarsi dalla striscia di Gaza e sono loro che in futuro porranno fine all’occupazione. La lotta armata, non il negoziato, ha portato al ritiro da Gaza”.] Difficile contestare questo fatto. Anni di processo di pace e di negoziati tra palestinesi e governi israeliani, compresi governi a guida Likud, non avevano portato al ritiro dal Gaza. L’idea del ritiro è nata nella testa del primo ministro israeliano Ariel Sharon solo dopo gli attentati suicidi, i missili Qassam e i tiri di mortaio.
Quand’anche questi attacchi non siano stati la ragione per cui Sharon se n’è venuto fuori con l’idea del disimpegno, i palestinesi sono certamente convinti che le cose stiano proprio così, e questo non fa che rafforzare la loro convinzione che l’unico modo per trattare con Israele sia con gli attentati terroristici e la violenza. Convinzione che ora diventa totale certezza se Israele si ritira unilateralmente sotto il fuoco palestinese. Chi si prende tutto il merito per la “grande vittoria” del ritiro israeliano da Gaza, e non del tutto ingiustificatamente, sono i membri di Hamas che hanno guidato la campagna di attentati terroristici contro Israele.
Il ritiro trasferirà nelle mani dei palestinesi ampie porzioni di terra in una striscia di Gaza sovrappopolata, dove ogni metro quadrato è prezioso. Cosa accadrà di questo ingente patrimonio? Chi lo riceverà e chi deciderà cosa farne? Hamas vuole partecipare alla spartizione del bottino: “Abbiamo sparso la nostra parte di sangue – dicono i suoi portavoce – Ora vogliamo prendere parte alle decisioni”.
Fino a poco tempo fa i capi di Hamas non erano preoccupati a questo riguardo. Avevano un accordo con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), raggiunto all’inizio dell’anno al Cairo, che prevedeva due punti principali: Hamas avrebbe rispettato un periodo di “calma” (o “hudna”) e l’Autorità Palestinese avrebbe indetto elezioni per il parlamento palestinese. In base ai risultati di quelle elezioni, che dovevano tenersi il 17 luglio, sarebbe stato possibile stabilire un criterio per soppesare il potere politico nella società palestinese e, secondo quello stesso criterio, formare un governo, distribuire posti e, fra l’altro, decidere come spartirsi il patrimonio abbandonato dagli israeliani. In altre parole, quali istituzioni e stabilimenti sarebbero state costruiti su di esso e a vantaggio di chi: i fedeli di Fatah, i seguaci di Hamas o altri.
Hamas ritiene d’aver rispettato l’accordo. Dal loro punto di vista, è Abu Mazen che l’ha violato. Fatah e la sua dirigenza, infatti, hanno deciso di rinviare le elezioni senza fissare una nuova data. Ciò significa che il governo palestinese, al momento del ritiro israeliano, resta quello che è oggi e coloro che sono attualmente al potere nell’Autorità Palestinese – generalmente considerati corrotti dall’opinione pubblica palestinese – faranno quello che vorranno del patrimonio lasciato dagli israeliani: non divideranno con Hamas i frutti della “vittoria” per la quale gli adepti di Hamas hanno versato il loro sangue.
Hamas non ha nessuna intenzione di accettare questo stato di cose. Per un breve momento è sembrato che si potesse raggiungere un ulteriore compromesso. I capi avevano suggerito di non lasciare nelle mani del regime palestinese la gestione del ritiro israeliano, cioè del patrimonio abbandonato, ponendola invece sotto la responsabilità di una commissione congiunta Hamas-Autorità Palestinese. Ma Abu Mazen e i suoi hanno respinto questa soluzione. “Sarebbe come creare un governo parallelo al governo palestinese”, hanno detto.
Questo è lo sfondo su cui sono esplose le recenti violenze a Gaza. Questa è una delle ragioni per il rilancio degli attacchi. Al momento non sembra che via sia una soluzione in vista, e la conclusione è che i membri di Hamas, frustrati e arrabbiati, continueranno e forse intensificheranno gli attacchi terroristici contro obiettivi israeliani. Se tutti i frutti della “vittoria” a Gaza devono cadere nella mani di leader corrotti, Hamas è anche disposta a rendere il ritiro israeliano così difficile da farlo saltare del tutto.

(Da: Ha’aretz, 18.07.05)

Nella foto in alto: Veicolo blindato delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese colpito e incendiato, in mezzo ai ragazzini palestinesi, da terroristi Hamas il 15 luglio a Gaza: nello scontro, morti due ragazzi palestinesi.