Oh no, un altro articolo su Israele e apartheid!

Nessuno fa caso a chi è arabo e chi ebreo nel mio mercato rionale preferito, così come nessuno presta attenzione all'etnia delle persone in ospedale: siamo ben oltre una cosa del genere

Di Mark Lavie

Mark Lavie, autore di questo articolo

Scrivere di Israele e apartheid è una partita persa. L’articolo nasce già sulla difensiva, non fa che dare spazio ad accuse insensate contro Israele (come scrivere un articolo sulle teorie terrapiattiste) e ingaggia una battaglia che non può essere vinta perché la controparte non si preoccupa minimamente dei fatti. Quindi dovrei davvero smettere di scriverne. Ma non lo farò.

L’ultima reiterazione della saga dell'”apartheid” è una tragedia. Israele aveva raggiunto un accordo con l’Autorità Palestinese per inviare subito 1,4 milioni di dosi di vaccini anti-coronavirus in cambio della promessa di ricevere un numero analogo di vaccini quando i palestinesi li averebbero ricevuti alla fine dell’anno. Ma i palestinesi hanno stracciato l’accordo e hanno rimandato indietro le prime 90.000 dosi, accusandole di essere troppo vicine alla data di scadenza. Il che è bastato per scatenare un’ondata di condanne a Israele accusato d’aver dato ai palestinesi dosi scadute (c’è chi ha parlato di apartheid vaccinale). Peccato che non era vero niente, e Israele ha immediatamente usato quelle stesse dosi per vaccinare i suoi ragazzi dai 12 ai 15 anni. Dopodiché i palestinesi hanno fatto sapere che volevano riaprire i negoziati.

Esasperato, ne ho tratto la conclusione che ancora una volta – come è già avvenuto con le offerte israeliane di uno stato palestinese in Cisgiordania, Gaza e parte di Gerusalemme che i palestinesi hanno respinto nel 2000 e nel 2008 – i loro dirigenti hanno dato priorità alle sofferenze politicamente paganti del loro popolo rispetto al suo benessere, usando l’intera saga per dare addosso a Israele. Non basta. Si scopre che la prospettiva in sé di ricevere dosi di vaccino da Israele ha fatto infuriare i palestinesi sui social network e che la valanga di proteste ha “costretto” la dirigenza a cancellare l’accordo. Insomma, persino peggio dello scenario che mi ero fatto.

Il murale “The Peace Kids” realizzato a Tel Aviv nel maggio 2015 da artisti ebrei e arabi, con la raffigurazione iconica dell’israeliano e del palestinese che si abbracciano

Come si inserisce tutto questo nella faccenda dell’apartheid? In questo modo: in base agli accordi di pace transitori israelo-palestinesi, la dirigenza palestinese controlla circa il 40% della Cisgiordania dove vive oltre il 90% dei palestinesi del territorio. Israele governa il resto con un sistema misto di diritto militare e civile. Questo sarebbe apartheid? Ma no. L’apartheid è quando leggi separate vengono imposte a una comunità indifesa. Ma nonostante tutti i loro sforzi per apparire come vittime impotenti, i palestinesi hanno accettato quegli accordi, li hanno firmati e hanno la loro autorità di autogoverno in vigore da più di 25 anni. Lo dimostra proprio la decisione indipendente presa dall’Autorità Palestinese di annullare unilateralmente l’accordo sui vaccini. Aggiungete il fatto che sin dal 2005 Israele ha ritirato tutti i suoi civili e militari dalla striscia da Gaza, che è sotto totale controllo palestinese. E mi si risparmi, per favore, l’argomento inconsistente secondo cui Israele “occupa” ancora Gaza perché controlla i suoi confini con il territorio governato da Hamas (come fa anche l’Egitto, peraltro). Se questa è occupazione, allora la Germania occupa la Francia e il Belgio occupa l’Olanda? Le nazioni controllano i propri confini. E’ proprio a questo che servono, i confini (specie quando dall’altra parte c’è un nemico giurato). Oh, ma i palestinesi non hanno un vero stato? Beh, si faccia riferimento alle proposte testé citate, tutte respinte dai palestinesi.

Salman Zarka, arabo israeliano, direttore dello Ziv Medical Center di Safed, docente presso la Scuola di sanità pubblica dell’Università di Haifa e docente senior presso l’Istituto Superiore di Medicina Militare dell’Università di Gerusalemme. Apartheid?

E che dire dell’interno di Israele, dove notoriamente i cittadini arabi soffrono sotto il giogo dell’oppressivo regime ebraico? Nient’affatto. Per chi non se ne fosse accorto, c’è un partito arabo nell’attuale governo di coalizione. Ci sono già stati ministri arabi nei governi precedenti, eletti nelle liste di partiti prevalentemente ebraici. Ma ora siamo di fronte a qualcosa di molto diverso: i rappresentanti di un partito islamico interamente arabo hanno voce in capitolo nella politica del governo e, cosa più importante, se ne assumono la responsabilità.

Nel frattempo, la società è andata ben oltre il governo in fatto di pari opportunità per arabi ed ebrei israeliani. Di recente mi è capitato di trascorrere un po’ di tempo allo Sheba Medical Center, presso Tel Aviv: il più grande ospedale d’Israele, fiero di figurare tra i primi dieci della lista 2021 di Newsweek “I migliori ospedali del mondo”. A un certo punto, mi sono chiesto se qualcuno parlasse ebraico. Molti paramedici e inservienti erano della comunità araba israeliana, o immigrati dalla Russia o dall’Etiopia. Arabi israeliani anche nello staff: molti i medici, compreso uno dei tre chirurghi con cui ho avuto a che fare. Sì, gente, ci sono medici arabi negli ospedali israeliani. E nella mia farmacia locale, quasi tutti i farmacisti sono arabi. Complessivamente, circa il 17% dei medici israeliani sono arabi, così come il 25% degli infermieri e circa il 40% dei farmacisti.

Questo non vuol dire che non vi siano problemi. La comunità araba risente di disparità in fatto di reddito e livello di istruzione, infrastrutture inadeguate e problemi abitativi. Ma una cosa non c’è di sicuro: l’apartheid. Proprio come nessuno fa caso a chi è arabo e chi ebreo nel mio mercato rionale preferito, così nessuno presta attenzione all’etnia delle persone nemmeno in ospedale. Siamo ben oltre una cosa del genere.

Ecco, l’ho fatto: ho scritto un articolo su Israele e apartheid. Non potevo farne a meno.

(Da: Jerusalem Post, 28.6.21)