Quelle oasi di pace (in Israele)

Nessuno può dire quando vi sarà la pace tra Israele e i suoi vicini, ma fin d’ora sappiamo come apparirà quel giorno, quando arriverà: come il Centro Medico Hadassah a Gerusalemme

Di Ellen Hershkin

Ellen Hershkin, autrice di questo articolo

Per molti il termine “pace in Medio Oriente” rappresenta un sogno impossibile, se non addirittura una contraddizione in termini. Ma c’è un posto nella regione in cui ebrei, musulmani e cristiani si incontrano pacificamente ogni giorno sulla scorta di preoccupazioni condivise e un profondo senso di umanità. Non è un paese, anche se è più antico di molte delle nazioni vicine. E non è un miraggio, anche se è in vista del deserto. È il Centro Medico Hadassah di Gerusalemme.

Nei corridoi, nelle aree di attesa, nelle sale operatorie, negli ambulatori d’esame, nei giardini e nelle caffetterie dei due campus ospedalieri che compongono il centro, medici infermieri e tecnici di diverse fedi ed etnie lavorano insieme. I pazienti e i famigliari in visita riflettono la stessa diversità e convivono, si parlano con simpatia e spesso festeggiano, pregano o piangono fianco a fianco.

Per Hadassah, la Organizzazione delle donne sioniste americane, che fondò il centro medico nel 1918, la parità di trattamento per tutti è un’espressione dell’etica ebraica. Ma non è un valore esclusivamente ebraico. “È un giuramento tra me e Dio: che aiuterò chiunque, senza pregiudizi di razza, genere o religione, semplicemente come un essere umano”, afferma la dottoressa Shaden Salameh, capo del pronto soccorso nel campus ospedaliero Hadassah sul Monte Scopus: la prima donna araba a ricoprire questa posizione in Israele.

Shaden Salameh, prima araba israeliana a ricoprire l’incarico di capo reparto di medicina d’urgenza

La coesistenza pacifica è sia pratica che morale. “Israele vive molte tensioni e quando presenti una équipe medica composta da persone di ogni ceto sociale, questo calma le cose”, osserva il dottor Hadar Merhav, ebreo nato a Gerusalemme, direttore dell’unità trapianti presso il campus ospedaliero Hadassah di Ein Kerem. Il dottor Merhav lavora abitualmente con il dottor Abed Khalaileh, arabo di Gerusalemme, direttore dell’unità trapianti di rene. L’anno scorso NBC News ha riferito di un trapianto di fegato che i medici hanno eseguito insieme, con il coinvolgimento di un donatore ebreo e un ricevente arabo.

Per il personale ospedaliero questa totale collaborazione è un normalissimo dato di fatto, ma talvolta può essere una sorpresa per i pazienti e i visitatori che vivono al di fuori di questa atmosfera cooperativa quotidiana. La paziente Stacey Goodstein Ashtamker se n’è accorta quando era seduta con la sua famiglia nel giardino dell’ospedale e ha notato delle coperte ricamate con disegni mediorientali piegate e appoggiate sulle panche. “Di primo acchito abbiamo pensato che fossero per le persone che avessero freddo – racconta – Solo in seguito ci siamo resi conto che erano tappetini di preghiera musulmani per coloro che ne avessero bisogno”.

Riconoscere a tutti pari dignità fa parte dell’etica di Hadassah sin dall’inizio, anche se l’istituzione non è stata risparmiata dal conflitto arabo-israeliano. Durante la guerra d’indipendenza del 1948, terroristi arabi tesero un’imboscata a un convoglio sanitario sulla strada che conduce all’edificio dell’ospedale sul Monte Scopus, e uccisero 78 persone tra pazienti e personale medico. Alla fine della guerra, l’edificio restò isolato come un’enclave dietro le linee giordane e rimase di fatto inutilizzato per i successivi 19 anni. L’organizzazione ne tornò in possesso solo dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Nel frattempo Hadassah aveva costruito il nuovo campus a Ein Kerem per continuare la sua missione di cura. Oggi a Ein Kerem tutte le sale operatorie si trovano in un complesso sotterraneo fortificato in grado di resistere ad attacchi convenzionali, biologici o chimici.

Azaria JJT Rein, capo della cardiologia pediatrica all’ospedale Hadassah dell’Università di Gerusalemme, con un piccolo paziente palestinese

Questo centro medico “è come l’arca di Noè perché qui si vedono arabi, ebrei e cristiani – afferma il dottor Khalaileh – Abbiamo persone che vengono dai territori palestinesi, persone che sanno cos’è Hadassah: sanno che riceveranno cure mediche senza frontiere”. Vi sono anche pazienti che vengono dal vasto mondo arabo, da Giordania ed Egitto ma anche da Siria e Arabia Saudita (paesi che non intrattengono rapporti diplomatici con Israele ndr).

In Israele vi sono molti altri esempi di amicizia, collaborazione, partenariati commerciali, coalizioni civiche e programmi di comunità arabo-ebraici. Attraverso la serie podcast The Branch, il sito web di Hadassah riporta regolarmente storie e iniziative che riflettono l’obiettivo di una società plurale e condivisa. Come i kibbutz hanno fatto fiorire il deserto, così queste oasi di pace combattono il deserto dell’incomprensione.

Nessuno può dire quando vi sarà finalmente la pace tra Israele e tutti i suoi vicini o quando la nozione di pace in Medio Oriente cesserà di essere vista come un ossimoro. Ma è certo che possiamo già farci un’idea di come apparirà quel giorno, quando arriverà: sarà come i brulicanti corridoi, giardini e spazi condivisi del Centro Medico Hadassah.

(Da: Times of Israel, 5.9.19)

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