Sovranità e diritto all’autodifesa

“Worst Case Scenario” sul versante palestinese

Da un articolo di Shlomo Slonim

image_2130“L’Interpol comunica che i suoi esperti forensi non hanno trovato alcun indizio che la Colombia abbia alterato i file delle attrezzature computer recuperate durante il raid contro i rivoltosi” (New York Times, 16 maggio 2008).
Le Ande sono a migliaia di chilometri da Israele e ciò che accade in America Latina potrebbe sembrare privo di attinenza con gli eventi in Medio Oriente. Invece, una recente controversia fra alcuni stati di quella remota area comporta implicazioni rilevanti anche per la politica estera israeliana, che dovrebbero essere attentamente considerate.
Da circa 44 anni la Colombia subisce spietati attacchi da parte di un gruppo guerrigliero noto come Forze Armate Rivoluzionare di Colombia (FARC). Questo gruppo si è specializzato in traffico di droga, sequestri ed estorsioni, oltre ad ingaggiare attività di terrorismo paramilitare. Giusto per dare l’idea, basti ricordare il caso di Ingrid Betancourt, la politica franco-colombiana candidata alla presidenza della Colombia, sequestrata sei anni fa dalle FARC e tutt’ora tenuta in ostaggio nonostante le notizie sulle sue drammatiche condizioni di salute.
Le FARC hanno covi nascosti nella giungla dell’Ecuador, dai quali lanciano attacchi sanguinosi in territorio colombiano. Tra il 2004 e il 2008 non meno di quaranta attacchi di questo tipo sono stati lanciati contro al Colombia dal territorio dell’Ecuador. In base al diritto internazionale l’Ecuador e gli altri paesi confinanti dove si trovano campi delle FARC sarebbero tenuti ad eliminare questi i covi dei terroristi e a mettere fine alle loro attività. La Colombia accusa l’Ecuador di non adempiere a questo dovere in violazione del diritto internazionale.
All’inizio dello scorso mese di marzo la Colombia ha lanciato un raid aereo contro un campo dei rivoltosi situato nei pressi del suo confine, poco più di un chilometro all’interno del territorio ecuadoregno. L’indicazione del campo era stata fornita da un informatore e il raid fu insolitamente efficace, portando all’uccisione di Raul Reyes, il numero due nella gerarchia del gruppo terrorista, insieme a una ventina dei suoi uomini. In queste circostanze, ci si sarebbe potuti aspettare che l’Ecuador fosse grato al vicino per l’eliminazione di un campo terroristico che danneggiava seriamente le relazioni fra i due paesi. Invece il presidente ecuadoregno Rafael Correa accusò la Colombia d’aver violato la sua sovranità, e pretese dal presidente colombiano Alvaro Uribe scuse formali, insieme alla promessa che non avrebbe mai più lanciato raid oltre confine.
La situazione si fece incandescente quando l’Ecuador giunse a schierare tremila soldati e il presidente venezuelano Hugo Chavez a schierarne non meno di novemila con carri e aerei. Da parte sua, il presidente della Colombia Uribe rendeva noto che un computer sequestrato durante il raid conteneva prove che compromettevano i presidenti ecuadoregno e venezuelano negli aiuti attivi al movimento terroristico, e minacciava di trascinare Chavez davanti alla Corte Penale Internazionale accusandolo di aiutare e finanziare piani genocidi.
Successivamente, in un incontro a Santo Domingo, Uribe ha invece porto le sue scuse all’Ecuador e ha promesso che nessuna azione di quel genere sarebbe stata mai più intrapresa in futuro. Ma questo non era ancora abbastanza per il presidente ecuadoregno, che chiese una condanna formale della Colombia da parte dell’Organizzazione degli Stati Americani per violazione della sua sovranità. In una riunione convocata d’urgenza a Washington tutti gli stati membri dell’OAS, con la sola eccezione degli Stati Uniti e della stessa Colombia, appoggiarono la risoluzione di condanna.
La legge, come si è detto, era dalla parte di Uribe: la Colombia, in quanto vittima di terrorismo internazionale, aveva agito per autodifesa. Ma ciò non le valse a nulla al momento del scontro. Ha violato la sovranità di un paese vicino e ha dovuto ingoiare il rospo.
La creazione di uno stato palestinese sarebbe, a quanto pare, la ricetta giusta per la soluzione del contenzioso arabo-israeliano che dura da sessant’anni. Di fatto, però, conferire piena sovranità a questo stato potrebbe segnare l’avvio di una nuova fase nel terrorismo arabo contro Israele: dove Israele si ritroverebbe con le mani legate nella sua lotta contro il terrorismo, molto più di quanto non le abbia ora. Quand’anche l’accordo prevedesse specificamente che Israele si riserva il diritto di attraversare i confini per difendere se stesso, tale clausola (già di per sé improbabile) nella pratica sarebbe priva di significato a fronte dell’accusa di violazione della sovranità dello stato palestinese.
Già gli Accordi di Oslo specificavano che i progressi nel processo di pace sarebbero stati condizionati alla cessazione del terrorismo arabo. Il terrorismo arabo non è mai cessato, ma ciò non ha impedito che Israele subisse un’enorme pressione internazionale perché il processo andasse avanti. Il processo aveva una sua inesorabile dinamica, che non teneva alcun conto del diritto che Israele si era riservato di bloccarlo in caso non cessassero le aggressioni.
L’esperienza della Colombia insegna che per molti stati la sovranità è sacrosanta, e corrisponde a un diritto molto maggiore di altri diritti, compreso il diritto all’autodifesa. Una lezione da meditare.

(Da: Jerusalem Post, 28.05.08)

Nella foto in alto: Tel Aviv (sullo fondo) vista da un villaggio palestinese di Cisgiordania (in primo piano): la parte più popolata ed economicamente vitale di Israele è stretta in pochi km tra il mar Mediterraneo e il territorio rivendicato dai palestinesi per il loro futuro stato