Una campagna elettorale troppo incentrata su una singola personalità

Una dinamica dannosa, che lascia prefigurare solo scenari che non suscitano entusiasmo né fiducia, ma apatia e disincanto

Di Justin Pozmanter

Justin Pozmanter, autore di questo articolo

Israele sta per andare alle urne. Di nuovo. Le elezioni sono sempre anche una competizione in cui gioca un ruolo importante la popolarità dei principali candidati. La cosa è ulteriormente amplificata quando c’è un politico in carica che polarizza il voto. Tuttavia, è difficile ricordare un’elezione che abbia ruotato quasi al 100% intorno a un singolo individuo. Anche le elezioni che si traducono in una sorta di referendum sul politico in carica sono quasi sempre collegate alle sue opinioni e al modo in cui viene percepita la sua prestazione in materia di sicurezza nazionale, economia, sanità ecc.

Non sembra questo il caso della campagna elettorale 2021 in Israele. In precedenza i mass-media riportavano i sondaggi suddividendo il possibile risultato nei blocchi ideologici di destra e di sinistra. Oggi vengono suddivisi nei due blocchi “pro-Bibi” e “anti-Bibi” (cioè pro e contro il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu). Un candidato come Gideon Sa’ar è saldamente ancorato al blocco anti-Netanyahu, ma sarebbe difficile trovare un unico tema sostanziale che veda i due su posizioni contrapposte. Anche il partito di sinistra Meretz è nel campo anti-Netanyahu, ma non c’è quasi nient’altro su cui Metertz possa dirsi d’accordo con Sa’ar.

Questa dinamica è dannosa per il paese. In base ad essa, si possono delineare essenzialmente tre probabili scenari post-elettorali, con l’avvertenza che nella politica israeliana possono sempre accadere cose improbabili.

1. Il primo ministro Netanyahu riesce a formare la nuova coalizione di governo. In questo scenario, il partito Yamina di Naftali Bennett sarebbe probabilmente il partner principale della coalizione, alla quale si unirebbero i partiti ultra-ortodossi Shas ed Ebraismo Unito della Torà, più il nuovo partito Sionismo Religioso. Netanyahu continuerebbe ad essere (come ora) un primo ministro incriminato e sotto il processo. Indipendentemente dal fatto che lo si ritenga colpevole di tutti i capi d’accusa o che si ritengano le accuse il frutto di una sorta di caccia alle streghe, dovrebbe essere chiaro a tutti che un primo ministro in carica mentre è sotto processo è una situazione tutt’altro che ideale. Per questo motivo, sarebbe bene che la Knesset adottasse al più presto una qualche forma della cosiddetta “legge francese” per stabilire che i primi ministri sono coperti da immunità e i procedimenti vengono congelati finché sono in carica, ma al contempo che i primi ministri possono ricoprire la carica un numero limitato di volte, affinché non possano sottrarsi all’infinito al vaglio della Giustizia.

Da sinistra: Yair Lapid (Yesh Atid- C’è Futuro), Naftali Bennett (Yamina-A Destra), Gideon Sa’ar (Tikvà Hadashà -Nuova Speranza), Benjamin Netanyahu (Likud)

2. Il blocco anti-Netanyahu riesce a formare la nuova coalizione di governo. Questo scenario prevede che Gideon Sa’ar, Naftali Bennett o Yair Lapid (o una rotazione fra loro) riesca a mettere insieme una coalizione dei rispettivi partiti Nuova Speranza, Yamina e Yesh Atid, a cui dovrebbe aggiungersi una combinazione di Yisrael Beiteinu (Avigdor Lieberman), Laburisti (Merav Michaeli), Blu-Bianco (Benny Gantz), Meretz e Lista (araba) Congiunta. Secondo la maggior parte dei sondaggi, qualsiasi coalizione di questo tipo totalizzerebbe solo pochi seggi sopra i 60, il che significa che ogni singolo partner della coalizione disporrebbe di un effettivo potere di veto su ogni atto del governo. Date le opinioni molto disparate di questi partiti, è difficile immaginare che una tale coalizione duri più di pochi mesi, il che significa che Israele tornerebbe molto rapidamente a nuove elezioni. In questo senso, lo scopo di una coalizione di questo genere sembrerebbe non tanto quello di dare un governo duraturo al paese, quanto quello di rimuovere Netanyahu per poi dissolversi rapidamente nella speranza che Netanyahu non sia più in condizione di ricandidarsi alle successive elezioni.

3. Nessuno riesce a formare la nuova coalizione di governo. Di conseguenza, Israele andrebbe incontro alla tornata elettorale numero cinque verso la fine dell’estate. Dovrebbe essere ovvio che questo sarebbe un risultato negativo. Anche tralasciando il costo che comporta ogni votazione e il blocco del budget causato dall’avere continui governi ad interim, si rischia di arrivare a un punto in cui elezioni una dopo l’altra spingeranno la popolazione israeliana e gli osservatori stranieri a mettere in dubbio la stabilità e il valore del nostro processo elettorale.

Nessuno di questi risultati suscita molto entusiasmo né fiducia. Ed è proprio questo il problema di un’elezione in cui pesa molto la personalità e ben poco la sostanza. Se è vero che un eccesso di ideologia rappresenta spesso un problema, e talvolta anche un pericolo, è anche vero che un governo gestito da chi condivide una visione per il paese – o almeno opinioni abbastanza simili da poter raggiungere compromessi plausibili – offre potenzialmente più stabilità e politiche più effettive, a tutto vantaggio dei governati.

Un altro elemento sorprendente è dato dal fatto che, stando ai sondaggi, i partiti generalmente considerati di destra (Likud, Yamina, Nuova Speranza, Yisrael Beiteinu, Sionismo religioso, Shas ed Ebraismo Unito della Torà) totalizzerebbero tra i 75 e gli 80 seggi, mentre gli stessi sondaggi attribuiscono ai partiti di centro (Yesh Atid e Blu-Bianco) circa 20-25 seggi e alla sinistra (Laburisti e Meretz) intorno ai 10 seggi, e dieci seggi anche alla Lista (araba) Congiunta. Quindi al momento, stando ai sondaggi, più dell’80% dell’elettorato intende collocare il proprio voto fra il centro, la destra e l’estrema destra, mentre sinistra sionista e partiti prevalentemente arabi sarebbero ciascuno intorno al 10% o meno. Sicché, dopo una votazione in cui probabilmente due terzi del paese voteranno per un partito di destra, è probabile che il risultato non sia un governo di destra (per via della polarizzazione attorno alla persona di Netanyahu, che divide la destra stessa).

Il risultato di tutto questo è una campagna scevra di contenuti e ideologie. In un paese dove il dibattito e il fervore ideologico sono sempre stati parte del tessuto della società, l’attuale livello di apatia e disincanto, a pochi giorni dal voto, è allarmante. Si può solo sperare che una parte della leadership se ne renda conto.

(Da: jns.org, 19.3.21)