Il singolare strabismo dell’FBI tra la morte di Abu Akleh e quella di cittadini americani vittime del terrorismo

Washington non fa granché per ottenere l’estradizione di una stragista che si vanta apertamente del suo attentato, ma vuole indagare su un’uccisione accidentale già investigata a fondo da un paese alleato e attendibile

Di Lahav Harkov

Lahav Harkov, autrice di questo articolo

Il poster di Ahlam Ahmad al-Tamimi come “Most Wanted Terrorist” (terrorista più ricercata) che campeggia sul sito web dell’FBI la definisce “accusata d’aver preso parte a un attentato suicida del 9 agosto 2001 in una pizzeria a Gerusalemme che ha ucciso 15 persone, tra cui due cittadini degli Stati Uniti. Altri quattro cittadini statunitensi risultano fra i circa 122 feriti nell’attentato. Deve essere considerata armata e pericolosa”. Il poster dell’FBI chiede indicazioni e suggerimenti, offrendo una ricompensa fino a 5 milioni di dollari per informazioni che possano portare all’arresto di Ahlam Tamimi. Ecco un’indicazione: Ahlam Tamimi si trova in Giordania, dove conduce un talk show su una tv di Hamas (e dove continua a vantarsi del numero di civili ebrei assassinati nell’attentato da lei organizzato ndr). Ma non crediate che la sottoscritta riceverà tanto presto i milioni promessi dall’FBI. Il luogo in cui si trova Ahlam Tamimi è noto da tempo – sta in televisione, non esattamente in latitanza – ma la Giordania si rifiuta di estradarla.

Nonostante una campagna instancabile condotta dalla famiglia di Malki Roth – una delle vittime della strage alla pizzeria Sbarro – abbia avuto un’eco significativa su mass-media ebraici e israeliani in inglese, Washington non ha fatto finora granché per premere sulla Giordania circa l’estradizione della terrorista. E nulla fa pensare che l’amministrazione Biden abbia fatto nulla di più di quelle precedenti.

Il che ci porta alle straordinarie misure che Washington sembra intenzionata ad adottare per la giornalista palestinese di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, una cittadina palestinese-statunitense rimasta uccisa lo scorso maggio in uno scontro a fuoco tra soldati israeliani e terroristi palestinesi.

Ahlam Tamimi, sulla lista dei ricercati dall’FBI per strage terroristica, vive in Giordania da libera cittadina

Inizialmente Israele non fu in grado di condurre un’indagine approfondita sull’incidente perché l’Autorità Palestinese, che insieme alla famiglia di Abu Akleh ha sostenuto fin dai primi istanti che i soldati avessero deliberatamente assassinato la giornalista, si rifiutava di consegnare qualsiasi elemento di prova dalla scena dell’uccisione. Alla fine, solo in seguito alle pressione degli Stati Uniti, l’Autorità Palestinese ha consegnato il proiettile. Gli esperti forensi israeliani hanno condotto l’esame del proiettile insieme agli investigatori statunitensi e lungo tutta la procedura Israele è stato completamente trasparente con gli Stati Uniti su tutti gli elementi dell’indagine. A settembre, dopo un’inchiesta approfondita, le Forze di Difesa israeliane hanno affermato d’aver rilevato che Abu Akleh è stata “probabilmente” colpita “involontariamente” da un soldato israeliano durante lo scontro a fuoco con i terroristi palestinesi, ma che non c’erano prove decisive e conclusive.

Al momento gli Stati Uniti continuavano a dire che si aspettano trasparenza, ma non annunciavano passi ulteriori. Dal canto suo la famiglia Abu Akleh, insoddisfatta per un risultato che non corrisponde alla loro convinzione pregiudiziale, ha iniziato a fare pressioni su politici simpatizzanti insieme al Dipartimento di Stato. Questa settimana, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha notificato alla sua controparte israeliana che l’FBI avrebbe condotto proprie indagini: una situazione praticamente senza precedenti, in cui gli Stati Uniti considerano ufficialmente un alleato come democratico e dotato di una magistratura indipendente in grado di indagare e perseguire i propri soldati quando necessario (dopo tutto, è l’argomento che gli stessi Stati Uniti avanzano contro il coinvolgimento della Corte Penale Internazionale), eppure intendono procedere con un’indagine dell’FBI contro la volontà di quell’alleato e dopo che l’indagine condotta da quell’alleato è arrivata alle proprie conclusioni.

Non si capisce cosa potrebbe fare l’FBI con le sue indagini, considerando che l’agenzia non sembra avere accesso a nuove prove né sarà in condizione di interrogare i soldati israeliani. Non si può dire che le Forze di Difesa israeliane siano sempre irreprensibili perché nessuno lo è. Ma gli Stati Uniti sono stati coinvolti nell’inchiesta israeliana e il Dipartimento di Stato aveva rilasciato una dichiarazione in cui affermava di “vederla con favore”. Eppure insistono a voler portare avanti una loro indagine.

In altre parole, questa morte certamente tragica, ma evidentemente accidentale, di una cittadina statunitense sembra meritare un’attenzione speciale quale invece non merita una strage terroristica intenzionale e sbandierata, che è costata diverse vittime americane. Come documentato sul sito web della famiglia Roth, il trattamento preferenziale di Abu Akleh rispetto ad altre vittime è iniziato già prima dell’indagine dell’FBI. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha incontrato la famiglia della giornalista, ma non ha fatto lo stesso con i famigliari delle vittime israelo-americane del terrorismo, e ha esercitato forti pressioni sul ministro della difesa Benny Gantz circa l’inchiesta delle Forze di Difesa israeliane.

Naturalmente l’attentato alla pizzeria Sbarro è solo un esempio, scelto fra gli altri per via dei tenaci sforzi di sensibilizzazione fatti dalla famiglia Roth. Ma da allora, secondo Jewish Virtual Library, ci sono almeno altri 49 cittadini statunitensi che sono stati assassinati da palestinesi. A quanto pare, neanche per loro l’FBI ha fatto granché per ottenere giustizia.

Dal momento che Washington non ha dato una spiegazione, ognuno è libero di fare le proprie ipotesi sui motivi di questo comportamento.

(Da: Jerusalem Post, 16.11.22)

Una sproporzionata campagna mediatica ciò che ha spinto l’FBI all’indagine?

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha notificato al governo israeliano che l’FBI ha aperto un’inchiesta sulla morte della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh.

La giornalista di Al Jazeera è stata uccisa a maggio mentre copriva un’incursione anti-terrorismo israeliana a Jenin. Una precedente indagine delle Forze di Difesa israeliane ha concluso che Abu Akleh è stata probabilmente colpita per errore da un soldato che non l’aveva identificata come membro della stampa.

“I soldati operavano in una situazione di pericolo, sotto forte pressione e in condizioni di stress – ha detto l’esercito a settembre – I soldati erano chiamati a prendere decisioni in tempo reale, sotto il fuoco e in pericolo per la loro vita”.

La decisione senza precedenti dell’amministrazione Biden di avviare un’indagine penale su presunti illeciti da parte di un alleato degli Stati Uniti giunge dopo mesi di attacchi contro Israele nei mass-media, alcuni dei quali i sono spinti ad accusare Gerusalemme di “assassinio”.

Come hanno fatto notare alcuni analisti, l’ultima volta che l’FBI ha ufficialmente indagato la morte di un giornalista all’estero fu nel 2002 quando Daniel Pearl – reporter ebreo del Wall Street Journal – venne decapitato da terroristi islamisti in Pakistan.

Negli scorsi vent’anni sono stati uccisi molti altri giornalisti, compresi diversi con cittadinanza statunitense.

Nel frattempo, HonestReporting ha rilevato che nei primi sei mesi dopo la morte di Abu Akleh importanti organi d’informazione statunitensi hanno prodotto più di 500 articoli sul tragico incidente in Cisgiordania.

Da quando è stata lanciata Al Jazeera, nel 1996, altri undici giornalisti dell’emittente sono rimasti uccisi in zone di guerra in varie parti del mondo. Ma nessuno di loro ha ricevuto tanta attenzione quanto Abu Akleh. Nel 2003, Tareq Ayoub rimase ucciso quando un raid aereo americano colpì gli uffici di Al Jazeera a Baghdad. Non è mai stata condotta un’indagine e i colleghi giornalisti se ne sono da tempo dimenticati.

Ogni morte in guerra è una tragedia, ma la copertura giornalistica relativamente scarsa e l’assenza di un analogo clamore internazionale quando si tratta di incidenti che non coinvolgono Israele fanno pensare che vi sia in gioco un pregiudizio contro lo stato ebraico.
(Da: honestreporting, 15.11.22)