L’amaro risveglio che avranno i palestinesi dopo i festeggiamenti per la sentenza dell’Aia

I palestinesi si ritroveranno da soli (con le inutili decisioni delle agenzie internazionali automaticamente anti-israeliane) e dovranno decidere se continuare ad aspettare che qualcun altro faccia il lavoro per loro

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Nonostante l’esultanza dell’Autorità Palestinese per la decisione della Corte Penale Internazionale di indagare sui presunti crimini di guerra israeliani, in realtà la decisione e quelle che l’hanno preceduta non hanno fatto né faranno avanzare nemmeno di un centimetro i palestinesi verso la realizzazione delle loro aspirazioni, e non faranno nemmeno migliorare di una virgola la vita dei palestinesi che vivono in Giudea e Samaria (Cisgiordania) e nella striscia di Gaza.

Giusto a titolo di promemoria, nel 2004 la Corte Penale Internazionale aveva stabilito che era illegale la barriera di sicurezza che Israele stava costruendo per proteggere i propri cittadini da una sanguinosa ondata di terrorismo, e aveva ingiunto che venisse demolita. Anche allora i palestinesi gongolarono, ma Israele ignorò la decisione e continuò a costruire la barriera che, da allora, ha contribuito a ridurre enormemente le violenze palestinesi contro i cittadini israeliani.

Noncuranti dei ripetuti fallimenti del passato, i palestinesi continuano a riporre tutte le loro speranze negli organismi internazionali, dove godono della maggioranza automatica garantita da paesi per i quali il nesso tra giustizia, diritti umani, libertà e democrazia è nel migliore dei casi molto labile. Questa tattica palestinese è ben nota e consolidata. Dopo aver fallito con i loro tentativi di spezzare la volontà di Israele mediante la violenza e il terrorismo, ora sperano che a mettere in ginocchio Israele saranno i boicottaggi culturali ed economici abbinati a decisioni delle agenzie delle Nazioni Unite. Oltre a questo, i palestinesi sperano anche che, quando arriverà il momento della verità, l’amministrazione americana si volgerà contro Israele, come fece l’amministrazione Obama nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca.

Abu Mazen, al centro, parla a una riunione del massimo organo decisionale dell’Autorità Palestinese. Sulla parete, i simboli di Fatah con la consueta mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica

I palestinesi, tuttavia, sono destinati a rimanere delusi. Può darsi che l’uscente procuratore capo della Corte dell’Aia Fatou Bensouda rispecchi i sentimenti anti-israeliani che continuano ad animare certi ambienti occidentali, ma certamente non riflette lo spirito dei tempi prevalente: certamente non in Africa, da dove Bensouda proviene, né in Medio Oriente. Lo spirito dei tempi, infatti, è quello che ha generato gli Accordi di Abramo, in base ai quali diversi importanti paesi arabi hanno esplicitamente dichiarato che l’unica strada da percorrere per gli arabi è quella della normalizzazione e della pace, e non la via della lotta armata che i palestinesi continuano a perseguire senza senso.

La scorsa settimana, annunciando la sua agenda di politica estera, l’amministrazione Biden ha affermato, fra l’altro, che non ha intenzione di impantanarsi nelle sabbie mobili del Medio Oriente e che, a parte il suo impegno per la sicurezza di Israele, non intende occuparsi più di tanto dei problemi della regione. Alla fine i palestinesi si ritroveranno da soli e dovranno decidere se ostinarsi ad aspettare che qualcun altro faccia il lavoro per loro. A quel punto può ben darsi che i palestinesi finiscano persino col pentirsi d’aver rifiutato senza mezzi termini l’accordo-quadro proposto dall’amministrazione Trump. Sebbene fosse lontano dal soddisfare tutte le loro rivendicazioni, era comunque un piano saldamente radicato nella realtà sul terreno, era fortemente sostenuto da buona parte del mondo arabo, e Israele ne accettava parametri e condizioni. Se i palestinesi avessero accettato quel piano, a quest’ora sarebbero già nel pieno del processo per la demarcazione del confine e per il consolidamento della loro sovranità, sebbene soltanto in una parte dei territori che dicono di rivendicare per sé. Al momento, invece, è del tutto ragionevole presumere che, a parte l’assenza di Trump, resteranno con un pugno di mosche in mano.

(Da: Israel HaYom, 8.3.21)