Levata di scudi di giornalisti arabi e palestinesi a difesa dei colleghi antisemiti che elogiano Hitler

Anziché dire ai colleghi di assumersi le loro responsabilità e non fare le vittime, preferiscono accusare i "sionisti" di voler "mettere a tacere la narrativa palestinese"

La revoca del premio da parte della Thomson Reuters Foundation (clicca per ingrandire)

Dopo che la scorsa settimana la Thomson Reuters Foundation ha preso l’iniziativa di revocare alla giornalista Shatha Hammad il premio Kurt Schork per il giornalismo internazionale, la stampa palestinese ha immediatamente preso le difese della collega senza dare alcun peso ai suoi post anti-ebraici e filo-hitleriani che hanno causato la decisione della Fondazione.

Anziché denunciare o perlomeno prendere le distanze dall’antisemitismo esplicito che permeava il profilo Facebook di Hammad, rivelato da HonestReporting, i mass-media in lingua araba hanno accusato i “sionisti” di voler “mettere a tacere la narrativa palestinese” (alcuni esempi in arabo cliccando qui, qui e qui).

In un’intervista esclusiva a Quds News Network, un sito di notizie collegato all’organizzazione terroristica Hamas, la stessa Hammad ha denunciato quella che descrive come una “guerra aperta contro i giornalisti palestinesi” e lancia un appello a “fronteggiare” le “istituzioni sioniste” che hanno scoperto il suo sconcertante elogio dello sterminio di ebrei perpetrato da Adolf Hitler.

Nel frattempo, il 23 ottobre, 304 giornalisti palestinesi e arabi hanno diffuso una dichiarazione a sostegno di Hammad e degli “altri nostri colleghi che sono stati perseguiti e perseguitati da istituzioni sioniste”. Accusando HonestReporting di aver compiuto “assassinii civili mirati”, la dichiarazione critica i reportage investigativi sui giornalisti Fady Hanona, Soliman Hijjy e Hosam Salem, che sono stati licenziati dal New York Times per il loro sostegno al nazismo e al terrorismo palestinese.

Il comunicato dei 304 firmatari accusa HonestReporting di “istigare contro i giornalisti” anche per il loro uso di parole quotidiane come “martiri” che – si legge – “costituiscono parte essenziale del lessico palestinese e arabo”, affermazione da cui si deduce che usare espressioni che glorificano l’assassinio a sangue freddo di ebrei innocenti costituisce “parte essenziale del lessico palestinese”.

“Hitler, quanto sei grande”. Tweet postato da Soliman Hijjy, uno dei giornalisti denunciati da HonestReporting ma difeso dai colleghi palestinesi

Già sabato 22 ottobre, in una lettera indirizzata al CEO di Thomson Reuters Steve Hasker, il Palestine Media Forum aveva esortato a ripristinare il premio di 5.000 dollari a Shatha Hammad sostenendo che la revoca del riconoscimento da parte della Reuters “mina la fiducia nell’integrità stessa del premio”.

Nel loro appello, i 304 giornalisti arabi e palestinesi respingono esplicitamente quello che definiscono uno “scrutinio oppressivo” dei loro post. In effetti, basta dare una rapida occhiata ai profili social di alcuni dei firmatari per capire perché. Ad esempio, la giornalista della Nawa News Agency Shireen Khalifa ha elogiato Adolf Hitler in numerosi post sui social network. “Hai accresciuto l’amore per Hitler nel mio cuore – scrive a uno dei suoi amici su Facebook – lo adoro e sento che la storia gli ha reso una grande ingiustizia”. E aggiunge: “Sono un’appassionata di Hitler”. Da notare che a giugno Khalifa ha ricevuto il Media Freedom Award da Press House-Palestine, un’organizzazione con sede a Gaza che afferma di ricevere donazioni dall’Unesco, dall’Unione Europea e dai governi canadese, francese, svizzero e norvegese. Khalifa ha ricevuto il premio dalle mani di Torunn Viste, rappresentante della Norvegia presso l’Autorità Palestinese.

Tra i firmatari dell’appello figurano Mariam Barghouti, che HonestReporting aveva già segnalato per aver affermato che “dal 1948 Israele ha battuto Hitler sul suo stesso terreno”, e il noto antisemita Mohammed El-Kurd (quello che alla Duke University, intervistato su dove dovrebbero andare gli ebrei quando gli arabi conquisteranno tutta la Palestina, ha risposto: “Davvero, sinceramente, non me ne frega un ca**o”).

La lettera è firmata anche da Hind Khoudary, la giornalista freelance nonché “research consultant” di Amnesty International accusata d’aver spinto Hamas ad arrestare un attivista pacifista palestinese colpevole d’aver partecipato a una tele-conferenza di pace via Zoom con cittadini israeliani. Poco dopo i furibondi post inviati da Khoudary ad alti esponenti di Hamas, Rami Aman è stato imprigionato per “tradimento del popolo” e torturato.

“Ovviamente – commenta HonestReporting – i giornalisti palestinesi hanno diritto alle loro opinioni personali, per quanto ignoranti e odiose possano essere. Ma i mass-media occidentali dovrebbero controllare adeguatamente i loro contatti locali se vogliono assolvere al loro dovere professionale verso l’obiettività”. Invece, come ha affermato Jake Wallis Simons, uno dei giudici del Kurt Schork Memorial Award della Reuters Foundation, “tutto questo mostra come giornalisti con opinioni molto discutibili possono farsi strada nei principali organi d’informazione, suscitando seri interrogativi sull’impegno di questi a controllare le fonti e sull’obiettività dei loro reportage su Israele e Medio Oriente”.

(Da: HonestReporting, israele.net, 24.10.22)